Nei volti di alcune di loro, talora, anche una semplice smorfia tradisce la memoria della disperazione e della miseria, a dispetto d’un sorriso rumoroso e coprente. Sui loro corpi, sempre agili e scattanti, si spiega la forma muscolare della resistenza. La loro identità, invece, appartiene al luogo che le contiene e le alloggia. Sono donne liquide perché sono migranti, in fuga da terre saccheggiate o famiglie cancellate dalla guerra. Sono donne, sono migranti, sono le protagoniste di ANONIMI, una mostra fotografica il cui concepimento è avvenuto interamente all’interno d’un centro d’accoglienza di Valderice, in provincia di Trapani. Ho scelto subito di utilizzare un bank come fonte luminosa da porre di fronte a ciascuna di loro, che sono state fotografate da tergo sia per tutelarne la privacy di ‘richiedenti asilo’ sia per dare risalto a una storia intima fatta di legami spezzati. La luce che le avvolge, infatti, ne sfuma leggermente i contorni, rinviandone l’appartenenza a una sorta di spiritualità laica e terrena e rigenerandone l’immagine. Invito di conseguenza il fruitore a volgere l’attenzione non già a una vera e propria silhoutte, bensì al rapporto gestaltico tra sfondo e figura, una figura che dovrebbe mutarsi in rivendicazione di speranza e libertà.